Partiamo subito con un bello SPOILER: “Man of Steel”, pellicola con cui Cristopher
Nolan (soggetto) e Zack Snyder (regia) intendono rinnovare il
super-eroe per eccellenza Superman, si chiude con una lotta senza esclusione di colpi a cui il kryptoniano dal cuore d'oro riesce a porre fine solo spezzando il collo del suo avversario, il malvagio generale Zod.
Rapido si leva il coro. Orrore! Eresia! Superman non uccide!
Personaggio travisato! Maledetta sia Hollywood che rovina i nostri
eroi del cuore!
Sì, va bene. Però è importante non
farsi distrarre da simili polemiche, soprattutto quando sembrano
create ad arte per alimentare il buzz attorno ad una pellicola ed
invogliare più gente a pagare il biglietto. Nessun fan del Superman
di carta può urlare allo scandalo per quel collo spezzato, semmai
dovrebbe apprezzarne la coerenza. Facciamo qualche passo indietro:
quando a metà degli anni '80 la DC Comics decise di far ripartire da
zero il suo intero universo narrativo, già vecchio di cinquant'anni,
confusionario, contorto e appassito, affidò la revisione del
crociato rossoblu a John Byrne, che all'epoca era una delle matite
più prestigiose del fumetto USA. Nolan e Snyder conoscono
sicuramente quel ciclo di racconti, e lo prova già il fatto che
abbiano chiamato la loro pellicola come la miniserie con cui Byrne
inaugurò la propria gestione, intitolata, per l'appunto, “Man of
Steel”. E sapete come chiuse Byrne la sua run sul personaggio?
Proprio con l'assassinio di Zod per mano del buon Kal-El (ma in
quel caso preferiva esporlo alla micidiale
kryptonite verde).
Ciò detto, più che chiederci se sia
plausibile che Superman arrivi a uccidere un avversario a sangue
freddo (evidentemente lo è, almeno in determinate circostanze)
sarebbe meglio concentrare le nostre energie sugli aspetti realmente
deludenti di questo film. “Man of Steel”, infatti, è un prodotto
tutt'altro che riuscito. Ed è un vero peccato, perché da un punto
di vista formale si tratta forse del miglior cine-comic mai
realizzato: le scene d'azione sono efficacissime, gli effetti
speciali mai sotto l'eccellenza, ogni immagine è curatissima e spettacolare. A ben vedere, la
maggior parte dei suoi difetti è attribuibile al Trattamento
Nolan a cui è stata sottoposta la trama. Elencarli tutti sarebbe
un lavoro improponibile (sono tantissimi e comunque c'è chi l'ha già
fatto in modo assai efficace), quindi ci limiteremo alla pecca più
evidente.
Definiamo il Trattamento Nolan:
consiste nel rendere i super-eroi più oscuri e quindi (presumibilmente) più
realistici e moderni. Questo approccio nasce dall'incrociarsi di due
bisogni: il primo è il bisogno degli studios Warner di far
affezionare un nuovo pubblico a personaggi arcinoti e quasi ammuffiti
(in altre parole: fare soldi), il secondo è il bisogno tutto
personale di Nolan di non vedere intaccata la propria immagine di
Autore con la A maiuscola nonostante si stia prestando ad operazioni
smaccatamente mainstream (in altre parole: fare soldi, ma senza farlo
vedere).
Attualizzare è bello, attualizzare è
giusto, ma è possibile attualizzare qualcosa solo se se ne possiede
una conoscenza attenta e approfondita. Un esempio per tutti: se Alan
Moore ha saputo rifondare il concetto stesso di super-eroe con
“Watchmen” è perché ama profondamente la materia (e infatti
“Watchmen” non è un lavoro di puro e semplice restyling, è
anche una summa di tutto il genere super-eroistico, delle sue
evoluzioni e dei suoi topoi). Non credo che Nolan conosca a fondo i
fumetti che ha trasposto in film, e certamente non li ama. Il suo
Batman non è una attualizzazione del personaggio classico, è un
Batman banalizzato e travisato (praticamente un super-poliziotto con
qualche gadget in più e uno strano cappuccio). I suoi sono film di
super-eroi che si vergognano di essere film di super-eroi e cercano
in ogni modo di sembrare altro. Ma Batman, almeno, è già in
partenza più realistico e oscuro della media dei personaggi DC,
quindi il Trattamento Nolan non lo violenta più di tanto. Con
Superman la questione si fa più complessa.
Perché alla fine il Trattamento
Nolan attualizza, ma solo fino a un certo punto. La paura di
scontentare il grande pubblico è sempre in agguato, e inoltre
maneggiare un'icona pop, anche se ingenua e kitsch come quella di
Superman, può essere un lavoro più difficile di quanto non sembri a
prima vista. E così non ci si spinge davvero fino a rifondare il
mito, ci si limita solo a modificarne qualche dettaglio fra i più
evidenti (per esempio eliminando i famigerati mutandoni rossi). Ne
risulta una storia pressoché identica a quella già nota ai più (o,
meglio, a quella del pluricelebrato film di Richard Donner del 1978)
con la differenza che alcuni elementi sono stati gonfiati o alterati per dare
l'illusione del nuovo.
Stavolta la parola d'ordine è
“emarginazione”: Superman è ora l'alieno, è il diverso che difende
un'umanità probabilmente non altrettanto pronta ad accettarlo (a ben
vedere si tratta di una chiave di lettura molto “Marvel”, a metà
strada fra X-Men e Spiderman). Per fare emergere questa nuova
tematica, Nolan e Snyder hanno scelto di dare molto più risalto alle
sue origini kryptoniane, tratteggiando, al contempo, gli anni della
sua formazione terrestre in modo superficiale e sbrigativo.
Il problema è che la trama ne esce
inevitabilmente impoverita, quasi incompleta. Perché Superman è sì
un alieno e un diverso, come questa pellicola ci tiene a
sottolineare. Ma Superman è soprattutto l'eroe per antonomasia, il
bene assoluto, la forza onnipotente capace di salvare e ispirare
l'umanità. E questo, se non si fosse capito, non ha niente a che
vedere con le sue origini extra-terrestri, ma è frutto della sua
bildung tutta umana, anzi (piaccia o meno) tutta americana . Senza
Pa' e Ma' Kent, non ci sarebbe nessun Superman ma solo un alieno
potentissimo, confuso e solo. Non sono la super-forza o il potere del
volo, ma gli anni passati presso due semplici e onesti agricoltori
del Kansas a forgiare il piccolo Kal-El in un esempio di bontà e
altruismo per il mondo intero.
A questo fondamentale percorso,
purtroppo, il film non concede che pochi, squallidi flashback, in cui
un irriconoscibile Jonathan Kent, invece di spronare il figlio
adottivo a utilizzare i propri poteri a fin di bene, gli consiglia
ripetutamente di farsi i fatti suoi: “gli umani ti odieranno”,
ripete incessantemente, “per loro sarai sempre un mostro, sarai
sempre solo”. Tutto ciò toglie senso e coerenza alla storia. Dopo
scene simili, infatti, è impossibile non domandarsi dove il Superman
adulto trovi la voglia di ergersi in difesa dei terrestri, visto che ha passato tutta la vita a temerli.
Ecco cosa succede quando più che
innovare davvero ci si limita a pasticciare un po' la solita vecchia
storia. Per questo il Trattamento Nolan in “Man Of Steel”
non funziona neanche un po'. Perché a volte alterare qualche
dettaglio qua e là serve solo a rovinare il quadro d'insieme,
privandolo del giusto equilibrio e di un senso compiuto.
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